Eroe è chi si sacrifica per affermare un ideale. Giovanni Falcone è stato un eroe. Anzi un supereroe. Sapeva di essere nel mirino della mafia. Sapeva di mettere a rischio la sua vita. Ma tutto questo non la ha fermato.
Perché lo ha fatto? Lo spiega bene sua sorella, Maria. «Quando i giornalisti chiedevano a mio fratello perché andasse avanti nonostante i rischi e i sacrifici, lui rispondeva con una frase semplice che dice tutto di lui: “per spirito di servizio”». Significa senso del dovere. Lui si sentiva a servizio dello Stato, della comunità. Si sentiva uno strumento della giustizia. Non pensava a se stesso, ma al bene più grande. E in nome di questo ha lavorato e vissuto. Per questo è stato ucciso da coloro che combatteva. Ma le sue idee non sono state fermate. Anzi. 29 anni dopo la sua morte nella strage di Capaci sono più forti che mai.
Aveva paura? Sicuramente sì. Ma aveva più coraggio. Ecco cosa diceva.
“L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza.”
La strage di Capaci
Il 23 maggio 1992 sull’autostrada A29 che collega l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, il giudice Falcone con la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, con gli agenti della scorta stavano rientrando da Roma come facevano ogni fine settimana. Ed è proprio qui che la mafia aveva piazzato una carica di cinque quintali di tritolo.
Era posizionata in una galleria scavata sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine. Alle 17.58 una terribile esplosione apre una voragine sulla strada e uccide il giudice Falcone, la moglie e i tre agenti della scorta Vito Schifano, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Chi era Giovanni Falcone
Giovanni Falcone, era direttore degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia e candidato alla carica di procuratore nazionale antimafia,
Era un magistrato che faceva parte del pool anti mafia costituito a Palermo nel 1980 per combattere Cosa Nostra. Lui è tra i primi a intuire cosa era e come era organizzata la mafia siciliana, in un’epoca in cui si negava generalmente l’esistenza della mafia e se ne confondevano i crimini con scontri fra bande di delinquenti comuni. E capisce che per scoprire i legami mafiosi deve seguire i flussi di denaro, seguire la strada del denaro mafioso.
Aveva ragione. E la sua tesi è stata confermata dalle dichiarazioni rilasciate nel maxiprocesso dal primo importante pentito di mafia, Tommaso Buscetta, e, negli anni seguenti, da altri rilevanti collaboratori di giustizia.
Il Maxiprocesso
Nel 1985 insieme all’amico e collega Paolo Borsellino (che sarà ucciso solo un mese e mezzo dopo) vengono trasferiti per sicurezza nella foresteria del carcere dell’Asinara dove iniziarono a scrivere l’istruttoria per quello che passerà alla storia come il Maxiprocesso.
Manderanno alla sbarra ben 475 imputati.
È la prima volta che lo Stato fa sentire la sua voce forte contro la mafia e lo fa grazie soprattutto ai due magistrati. Il Maxiprocesso produrrà 360 condanne per 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di vecchie lire di multe da pagare.
Falcone e Borsellino non hanno mai smesso di combattere contro Cosa Nostra ben sapendo che questo avrebbe messo a rischio la loro stessa vita.
“Gli uomini passano – disse una volta Giovanni Falcone – ma le idee restano. Restano le tensioni morali che continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.
Tante le manifestazioni per ricordare i magistrati che, pur sapendo di essere nel mirino della mafia, continuarono a lavorare in nome della giustizia e della legalità.
Un lenzuolo contro la mafia
Ogni anno per non dimenticare la strage di Capaci, la «barca della legalità» porta a Palermo migliaia di ragazzi per commemorare questa giornata. Ma come lo scorso anno, anche quest’anno la pandemia ha impedito che questo avvenisse. Ma tutti sono invitati a partecipare a #unlenzuolocontrolamafia, la campagna pensata allo scopo di invitare i cittadini ad appendere un lenzuolo bianco, come accadde dopo la strage di Capaci del ’92, per ricordare le vittime della mafia.
Le iniziative
Quest’anno infatti, ad aprire #PalermoChiamaItalia, un’orchestra di studenti dell’Istituto Regina Margherita di Palermo si esibirà alla presenza del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e della presidente della Fondazione Falcone, Maria Falcone, eseguendo l’inno d’Italia e dando il simbolico avvio alle celebrazioni.
- Nell’aula bunker. A quel punto la giornata proseguirà nell’aula bunker del carcere Ucciardone, alla quale parteciperanno le massime cariche istituzionali del Paese, a partire dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dei ministri dell’Interno Luciana Lamorgese, della Giustizia Marta Cartabia, per il Sud e la Coesione territoriale Mara Carfagna, dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Ma anche il Capo della Polizia Lamberto Giannini, il Comandate generale del Carabinieri Teo Luzi e della Finanza Giuseppe Zafarana. Nel corso della cerimonia verranno premiati gli studenti e le studentesse vincitori del concorso «Cittadini di un’Europa libera dalle mafie», promosso dalla Fondazione Falcone e dal Ministero dell’Istruzione. Sarà trasmessa alle 8.50 su Rai 1.
- Le foto. Intanto in piazza Magione, cuore di Palermo, di quel quartiere della Kalsa dove Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono cresciuti, se quest’anno non potrà accogliere i laboratori degli studenti ospiterà comunque le gigantografie di entrambi i magistrati.
- Rap contest. Altro luogo della memoria protagonista della giornata sarà il giardino Quarto Savona Quindici a Capaci, fazzoletto di terra a margine di quel pezzo di autostrada che la mafia fece saltare in aria e che prende il nome dall’auto della scorta distrutta nell’esplosione. Qui gli studenti degli istituti superiori palermitani Enrico Medi, Vittorio Emanuele II, Regina Margherita, Majorana e del Liceo Scientifico Ernesto Basile si sfideranno in un rap contest. Il progetto è stato organizzato dall’Associazione Quarto Savona Quindici grazie alla guida musicale di Luca Caiazzo, in arte «Lucariello», giovane rapper napoletano che insieme agli studenti ha realizzato un brano rap in ricordo degli eroi caduti nella strage di
Capaci. - L’arrampicata. Alle 17,58, in collaborazione con le Fiamme Oro, il campione Stefano Ghisolfi effettuerà l’arrampicata alla «Casina No Mafia», dove ad attenderlo ci saranno i bambini delle Fiamme Oro che «innalzeranno» le foto degli agenti della scorta del giudice.
- Il silenzio. Alle 17,45 altro momento fortemente simbolico. Sotto l’Albero Falcone si terrà il momento conclusivo delle celebrazioni, che rispetto agli anni passati dovrà fare i conti con il rispetto delle norme anti Covid e che prevede l’assoluto divieto di assembramenti. A quell’ora quindi, in via Notarbartolo, verrà eseguito il silenzio in onore delle vittime da parte della Polizia di Stato e verranno letti i nomi delle vittime delle stragi di Capaci e di Via d’Amelio.
Sarà possibile seguire l’iniziativa in diretta social sulle pagine Facebook e Instagram della Fondazione Falcone. Se le norme sanitarie limiteranno enormemente il cerimoniale, con il divieto di assembramenti e di incontri collettivi, i social daranno una mano per mantenere viva la memoria a distanza di 29 anni dalla strage di Capaci.
Leggi anche
- Il giudice Borsellino ucciso dalla mafia
- Top! Garlando legge “Per questo mi chiamo Giovanni”
- I Sansoni: «Caro Giovanni Falcone…»
È molto interessante e curioso questo articolo e fatto bene probabilmente aiuterà molte persone a capire meglio ciò che è successo.