Donatella Versace: “La moda del dopo virus ricomincia dalle pantofole”

Donatella Versace in pantofole fucsia e 
di pelo (finto) ci racconta la sua quarantena
e come sarà la moda del dopo virus.

di Carlo Piano

Che ne sarà della sfavillante moda nell’era post virus? Ne parliamo con una delle icone dello stile italiano, anche lei reclusa in casa e in pantofole. Anche lei con il naso premuto alla finestra, mentre fuori esplodono i colori e i profumi della primavera. Il suo nome è Donatella Versace.
Dove si trova?
«Nel mio appartamento di Milano, rinchiusa da quando sono scattate le prime misure restrittive per contenere la diffusione del virus».
E affronta da sola l’isolamento?
«Vivo da sola ormai da molti anni, dato che i miei figli hanno ciascuno casa propria, Allegra qui vicino a Milano e Daniel a Londra. Ci sentiamo tutti i giorni».
Dica la verità: ha paura?
«Paura non credo sia il termine esatto. Le prime settimane credo che fossi più che altro sotto choc. Questo virus, sfortunatamente, è stato molto sottovalutato all’inizio. Non lo dico come critica, ma semplicemente perché nessuno poteva immaginarne gli effetti devastanti sulle nostre vite».
Cosa l’ha più scioccata?
«Ci siamo addormentati che il mondo andava in un certo modo e ci siamo svegliati in un film apocalittico con strade deserte e nessuna traccia di vita, in un pianeta alieno in cui i gesti d’amore che eravamo abituati a scambiarci, senza darci nemmeno troppo peso, sono diventati strumenti di morte. Tutto sembrava aver perso magia».
Come stanno reagendo gli italiani?
«Lo choc iniziale è diventato da un lato rabbia e frustrazione e dall’altro desiderio di far qualcosa, qualunque cosa, per aiutare chi sta lottando per salvare le vite. Mi sono sentita davvero orgogliosa del fatto che, per la prima volta da tempo immemorabile, siamo riusciti a mettere da parte i nostri interessi personali e ci siamo scoperti Paese, comunità, uniti in questa lotta che non guarda in faccia a nessuno».
Questo la fa ben sperare?
«Mi toccano nel profondo i gesti di solidarietà, le donazioni, le manifestazioni spontanee di gratitudine. Ecco, questo mi dà speranza. Spero che il sentimento di unità e di generosità non si esaurisca con la fine della quarantena, ma, anzi, diventi parte delle nostre vite perché abbiamo finalmente capito che insieme siamo più forti».
Quindi il bicchiere lo vede mezzo pieno…
«Assolutamente sì. Sono ottimista di carattere, è vero, ma guardare i video della gente che canta alle finestre, o che applaude coloro che sono in prima fila contro il virus o per farci avere il cibo sulle tavole, ci ha fatto riscoprire un senso di comunione. Se ci supportiamo gli uni con gli altri possiamo raggiungere traguardi inimmaginabili. Sono cose che scaldano l’anima e che resteranno con noi».
Come passa le sue giornate. La prima cosa che fa al mattino? E poi?
«Direi una bugia se dicessi che sono stati giorni facili. Ho cercato di aggrapparmi a una routine per quanto possibile. Alla mattina un po’ di esercizio fisico e poi lavoro, ricerca di nuove idee e un po’ di tempo per me che passo a leggere o a guardare ciò che succede nel mondo attraverso i social media».
Riesce a lavorare come prima?

«All’inizio eravamo un po’ spaesati dalla lontananza. Per mia natura, sono abituata a confrontarmi con diversi gruppi, dal design, al marketing, al merchandising e così via. Questo mi serve per tenere la mente aperta. Parlare con persone diverse, con quelli che non la pensano come me, è fondamentale. Il fatto di non dare mai nulla per scontato, di vagliare ogni idea e il suo opposto per trovare la strada giusta è ciò che mi ha fatto crescere e ha permesso a Versace di evolversi. Ma alla fine siamo riusciti a trovare un nuovo equilibrio.»
Cosa significa per lei creare?

«Creare per me non è solo un lavoro, è la mia vita. È ciò che ho sempre fatto, che si trattasse di un’immagine o di un abito ha poca importanza. Oggi, creare è anche un dovere. Un dovere nei confronti della mia azienda e dei miei collaboratori, ma anche un dovere verso tutte quelle piccole aziende che dipendono da Versace per poter ripartire appena sarà il momento».
Sta lavorando a una nuova collezione?
«Sì, stiamo ultimando la collezione che sarà nei negozi a novembre e iniziando a riflettere su quelle che presenteremo a settembre. Con il mio team seguiamo da sempre un calendario molto rigoroso e abbiamo dovuto ripensare a tutto. In questo caso è stata un’imposizione, non avevamo altra scelta, ma in realtà ci ha fatto molto bene. Era da tempo che ci si lamentava dei ritmi forzati imposti dal sistema moda e, oggi, per la prima volta, abbiamo la possibilità di ricominciare in modo diverso».
Sarà una collezione diversa?
«La gente è cambiata e vorrà qualcosa di diverso. Bisogna rivedere il modo in cui concepiamo una collezione e
trovare un messaggio chiaro, preciso, forte e dirompente.
Si dice che nulla sarà come prima…
«È inevitabile uscire cambiati nel profondo da un’esperienza del genere. Lo dico anche in senso positivo…»
Positivo?
«Siamo tornati a dare importanza ad alcuni valori che avevamo messo da parte nelle nostre vite frenetiche. Queste settimane passate in casa, hanno dato a tutti noi tempo di riflettere, di guardarci dentro, di chiederci se ciò che pensavamo fossero davvero le priorità. In futuro daremo importanza a cose diverse rispetto a prima, perché non vorremo più perderle».
La moda, come l’arte e la musica, fa sognare. Che ruolo avrà nella ricostruzione?
«Ogni cosa nasce da un’idea e più spesso da un sogno, da una visione. Il ruolo è enorme, perché la moda è lo specchio della società che la crea. Come in ogni situazione dipenderà tutto da noi. Dopo questa esperienza di cosa sentiamo davvero la mancanza? Quali sono quelle cose che ritenevamo essenziali e di cui invece possiamo fare a meno? Ma c’è un’altra domanda…»
Quale?
«Abbiamo visto con i nostri occhi, in questo periodo di blocco delle attività, che la Terra è rinata, l’inquinamento è sceso a livelli che non si registravano da decenni, gli animali sono ritornati a prendere possesso di parchi e mari… La domanda che mi pongo è: a quale tipo di realtà voglio tornare? C’è bisogno di capire i nuovi desideri delle persone, questa è la sfida della moda».
Pensa che il governo stia fronteggiando adeguatamente la pandemia?
«Mi sono sentita orgogliosa, come mai, di essere italiana. Il governo si è trovato ad affrontare qualcosa d’inimmaginabile. Nessuno poteva dirsi pronto. Ho apprezzato la sincerità e la trasparenza con cui sono state prese anche le decisioni più difficili. Altre, ancora più complesse perché portano con sé la responsabilità di ricostruire un Paese in ginocchio, dovranno essere prese ancora più uniti, mettendo da parte l’agenda personale. L’Italia è un grande Paese, che ha dimostrato di saper vincere le battaglie più dure. Ce la faremo».
Cosa dice a medici e infermieri che combattono negli ospedali?
«Grazie! Dal profondo del cuore. Non oso immaginare cosa stiano sopportando fisicamente e psicologicamente. Le immagini che arrivano dalle corsie mostrano volti segnati dalla stanchezza e dal dolore. Hanno visto il virus portarsi via tante, troppe, vite e loro, solo loro, erano lì fino all’ultimo.»
C’è chi prevede sfilate digitali e showroom virtuali, cosa ne pensa?
«Onestamente, non so come sarà il futuro delle sfilate. Sento dichiarazioni estreme, come che non faremo più sfilate o che saranno completamente digitali. Io voglio pensare e sperare che, se un nuovo modo deve essere trovato, possa essere una via di mezzo. Le sfilate sono un momento magico. Un momento di lavoro, ma anche un’opportunità di confronto e ispirazione che può andare persa. Forse saranno ridimensionate, più intime…»

La tecnologia la sta aiutando?
«Tantissimo. Non so come avremmo fatto se non avessimo avuto a disposizione questi mezzi tecnologici. Per lavorare, ma anche per evadere con la mente, per restare in contatto, per l’informazione. Se già il digitale aveva cambiato le nostre vite, ora ha avuto un ruolo fondamentale nel non fare crollare la società».
C’è chi tra le griffe si è messo a produrre mascherine e camici, cosa fa Versace?
«Non amo rispondere a queste domande, sono cose da farsi in silenzio. In questo caso però rispondo, per rafforzare il senso di comunità e magari ispirare altri a seguirci. Versace ha donato un milione di renminbi alla Croce rossa cinese, 100.000 euro all’iniziativa di solidarietà della Camera della moda e 400.000 al reparto di terapia intensiva del San Raffaele di Milano, a cui ne abbiamo aggiunti 200.000 io e mia figlia Allegra, come contributo personale».
Scusi la domanda leggera ma come veste Donatella in quarantena?
«Come mi vesto sempre. Solo che al posto dei tacchi, mi metto delle pantofole di pelo (finto!) colorate».
Cosa le manca di più?
«Il contatto con gli altri. I miei figli, gli amici, il mio team. Io sono una persona che deve sempre essere impegnata, fare qualcosa con il corpo o con la mente, parlare, confrontarmi, guardare cose…»
Cosa ci direbbe oggi suo fratello Gianni?
«Ciò che ha sempre detto a me: non mollare mai».

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