Il «gaming disorder» ossia la dipendenza dai videogiochi ora è una vera e propria malattia mentale. Non è solo un vizio. E neppure una semplice cattiva abitudine. Ma è una patologia che va curata.
Si vabbé ma io che c’entro con la dipendenza dai videogiochi?
Quando si leggono queste cose la prima cosa che viene da pensare è «che c’entro io? Sono mica un malato mentale! Riguarderà quattro smanettoni che passano la nottata su internet…». E allora cerchiamo di capirci qualcosa di più…
Chi è a rischio?
In Italia secondo una ricerca Aesvi-Gfk i giocatori sono 29,3 milioni. E a rischio per “gaming disorder” ci sarebbero circa 270mila ragazzi, quasi tutti maschi, in una fascia d’età tra i 12 ed i 16 anni.
Chi ha detto che è una malattia?
Lo ha deciso l’Organizzazione Mondiale della Sanità durante l’Assemblea Generale in corso a Ginevra. I Paesi membri hanno votato a favore dell’adozione del nuovo aggiornamento dell’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (la cui sigla è Icd-11). Sarebbe l’elenco di tutte le malattie riconosciute al mondo, circa 55mila. E per la prima volta contiene il «Gaming Disorder».
Ma cos’è questo «gaming disorder»?
Il «gaming disorder» è definito come «una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco, sia online che offline».
Quali sono i campanelli di allarme?
1 – Il mancato controllo sul gioco.
Non riuscire a controllare il desiderio di giocare. «Adesso-smetto-adesso-smetto…» e intanto passano le ore.
2 – Una sempre maggiore priorità data al gioco, al punto che questo diventa più importante delle attività quotidiane e sugli interessi della vita.
Il primo pensiero diventa giocare. Consolle e telecomando sostituiscono a poco a poco lo studio (ovviamente …) ma anche tutte le attività divertenti da fare anche i con i coetanei. Lo sport, il gelato con gli amici, un cinema, una passeggiata
3 – una continua escalation del gaming nonostante conseguenze negative personali, familiari, sociali, educazionali, occupazionali o in altre aree importanti, con disturbi del sonno e problemi alimentari.
Insomma poi uno non è stupido: se ne accorge delle conseguenze negative. Gli amici non lo chiamano più, o sempre meno. Litiga in casa. È sempre nervoso. Impara a fatica. Dorme male e poco perché gioca di notte, ha problemi a scuola...
Per essere considerato patologico – è ancora spiegato nel documento ufficiale – il comportamento deve essere «reiterato per 12 mesi, anche se la durata può essere minore se tutti i requisiti diagnostici sono rispettati e i sintomi sono gravi». In buona sostanza: tutti quei campanelli possono risuonare anche per meno di un anno se ci si accorge che la dipendenza è grave.
Attenzione ai videogiochi
Non tutti i giocatori sono malati! Per fortuna solo una piccola parte.. però è bene stare attenti al tempo che passiamo giocando, a come ci sentiamo alla fine, se riusciamo a controllare il gioco. Insomma se siamo padroni della nostra vita, oppure se ci facciamo telecomandare dalla consolle.
Il dottor Mark D.Griffiths nel 2005 ha pubblicato uno studio dove spiega le 6 componenti che costituiscono il processo bio – psico – sociale che porta alla dipendenza:
- a livello comportamentale, la persona è totalmente assorbita dal gioco
- il gioco è un modo per fuggire dalla realtà e permette di provare emozioni piacevoli
- la persona ha bisogno di prolungare il tempo passato a giocare per sentire gli effetti positivi su di sé (emozioni piacevoli)
- la persona si sente ansiosa, depressa e irritabile se non può giocare
- emerge un significativo ritiro sociale
- nonostante la persona capisca la gravità della sua situazione e smetta per un po’ di giocare, non riesce mai ad interrompere completamente
Chi soffre di dipendenza da giochi online preferisce passare il suo tempo con gli amici conosciuti in rete e crede che queste relazioni siano molto più vere e intense rispetto a quelle della vita reale (oh ma dico, siete fuooori?!)
E allora non esagerate! (non solo con i videogiochi)
La tecnologia non è mai solo «cattiva». Dipende sempre dall’utilizzo che ne facciamo. Basta non esagerare! Circa il 60% dei ragazzi controlla lo smartphone come prima cosa appena si sveglia e ultima prima di dormire. Il 63% (tra 14 e 19 anni) usa inoltre lo smartphone a scuola durante le lezioni; il 50% dichiara di trascorrere dalle 3 alle 6 ore extrascolastiche al giorno con lo smartphone in mano. lo smartphone ‘ruba’ fino a 6 ore e mezzo di sonno a settimana, e che il rischio di dipendenza è triplicato nelle ragazze (i dati della Sip Società Italiana Pediatria)
Da abitudine a dipendenza il passo può essere breve.
Che fare?
La parola non vi piace ma c’è poco da fare: le regole. Servono a voi per non diventare dei malati di mente! Alessio Carciofi, non è un medico, ma un esperto di marketing digitale e autore del libro «Digital Detox». Ecco i suoi consigli.
Vademecum per ragazzi in 8 punti.
- 1)Al risveglio non prendere subito il cellulare: fai colazione, preparati e ottimizza al meglio la giornata che sta iniziando.
- 2 Nel percorso da casa a scuola, alza gli occhi dallo smartphone. Osserva il paesaggio.
- 3) Considera un dono chiacchierare con gli altri. Rispettali, mentre parli con gli amici o con i familiari guardali negli occhi.
- 4) Mentre sei a scuola concentrati sulla lezione. Non cercare un collegamento iper testuale e digitale.
- 5) Il pranzo e la cenasono occasioni di dialogo. Goditi il momento, chiacchiera con gli amici o con i genitori. Tieni il cellulare in tasca o almeno controllalo poche vo
- 6) Fai sport e attività all’aria aperta. In quelle ore dimenticherai completamente il cellulare. E se i tuoi ti chiedono di uscire per buttare la spazzatura, lascia il cellulare a casa. E’ solo per cinque minuti.
- 7) Non andate in bagno con lo smartphone. Non concepirla come una “una seduta di lunga durata“
8) Attento al fenomeno del “Vamping”: chattare fino a notte fonda. L’ideale, per evitarlo, sarebbe lasciare il cellulare in una altra stanza, ma se è una indicazione troppo punitiva almeno stacca 15 minuti prima di metterti a letto.
E per finire… chiedete ai vostri genitori di dare il buon esempio!
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