Mentre in ogni laboratorio del mondo ferve la ricerca di un vaccino che ci liberi dalle catene del coronavirus, piace ricordare una storia e soprattutto il suo edificante epilogo.
Sabin o Saperstein?
Il suo nome era Abram Saperstein, professione virologo, diventato famoso con lo pseudonimo di Albert Bruce Sabin: da ragazzo aveva dovuto cambiare nome fuggendo negli Stati Uniti dalla persecuzione nazista che infestava la Polonia. Ebbene lo conosciamo tutti e tutti sappiamo che sconfisse con il suo vaccino la poliomielite.
Il nemico invisibile
Ai tempi di Saperstein le epidemie di polio scoppiavano una dietro l’altra e mietevano migliaia di vite. Chi non moriva spesso restava paralizzato o offeso nei movimenti. Soprattutto bambini d’età inferiore ai cinque anni. Ma non esclusivamente: il presidente Franklin Delano Roosvelt, allora quarantenne, perse l’uso delle gambe, anche se ultimamente qualcuno ha sollevato dubbi che si trattasse di polio. Comunque era il nemico invisibile di quegli anni, già flagellati dalla guerra mondiale. Ogni giorno la radio trasmetteva un bollettino con il numero dei bambini contagiati, la localizzazione dei nuovi casi eccetera. Lo stesso lavoro che sta facendo in televisione l’indefesso capo della Protezione civile.
Il libro
Lo scrittore Philip Roth dedicò un libro, dal titolo Nemesi, all’ondata che nell’estate del 1944 travolse la città di Newark: «L’impatto di quei numeri era sconfortante, terrificante e defatigante. Perché quelli erano gli spaventosi numeri che certificavano l’avanzata della terribile malattia e che, nelle sedici circoscrizioni di Newark, equivalevano al numero dei morti, feriti e dispersi della vera guerra».
L’idea geniale di Saperstein-Sabin
In questa dannazione l’allora giovane dottor Saperstein impiegava il suo ingegno nel tentativo di fermare il massacro degli innocenti. E ancora di più lo spinse l’epidemia che vide esplodere tra i bambini di Berlino nel 1947, quando sotto le armi lavorava all’ospedale militare nella bombardata capitale del fu Terzo Reich. Così, ritornato alle sue ricerche a Cincinnati, si tuffò notte e giorno nello studio finché non imboccò la strada giusta. L’idea era, come tutte le idee geniali, semplice anche se il Nobel non glielo dettero mai: immettere nell’organismo lo stesso virus della polio ma attenuato, in modo che non provocasse la paralisi delle fibre nervose ma che costringesse il corpo a produrre gli anticorpi.
La zolletta di zucchero
Grande scoperta ma come spesso avviene, per innata miopia umana, gli Stati Uniti preferirono produrre e adottare il vaccino di un altro immunologo, che col tempo si rivelò pericoloso per la salute e poco efficace. Qui la storia si fa interessante perché l’Unione Sovietica e altre nazioni dell’Est chiesero al dottor Saperstein di poter sperimentare il vaccino, che si assumeva inzuppando una zolletta di zucchero. Lui donò i ceppi virali agli scienziati russi. Che fossero comunisti non gli importava nulla, infatti gli appiopparono pure un’accusa di antipatriottismo.
Vaccino obbligatorio per tutti i bambini
Vennero immunizzati milioni di bambini e la poliomielite fu presto debellata. Solo allora gli Stati Uniti si arresero davanti all’evidenza e resero obbligatoria la vaccinazione, così come tutti gli altri Paesi del mondo, Italia compresa nel 1966. Il dottor Saperstein sarebbe potuto diventare ricchissimo, invece preferì non guadagnarci un dollaro e continuare a vivere con il suo stipendio di professore universitario. Decise di non brevettare la scoperta per evitare lo sfruttamento commerciale delle case farmaceutiche, che ne avrebbe lievitato il prezzo e ostacolato la diffusione. Quando gli domandarono perché sbattesse la porta in faccia alla fortuna, rispose così: «Tanti insistevano perché lo brevettassi, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo».
Dove sei Abram Saperstein? Dove sei Albert Bruce Sabin?
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Bellissimo, avete ragione peccato che SABIN se ne sia andato via.